L’esposizione al rumore risulta essere, in molte realtà produttive, un fattore di rischio importante se non addirittura il principale. Purtroppo però, spesso non è trattato o governato in modo adeguato.
Ricordiamo che la natura del rumore è tale da determinare possibili rischi per la salute in modo subdolo negli anni, ovvero senza fornire evidenti segnali premonitori. Col passare degli anni inoltre, la crescente e costante meccanizzazione dei processi produttivi ha spesso determinato un moltiplicarsi delle sorgenti di rumore, comportando un aumento della percentuale di lavoratori esposti a questo fattore di rischio ma, non di rado, senza una ricerca tecnologica di pari passo atta a diminuire le emissioni sonore degli impianti.
Il danno provocato dal rumore a carico dell’apparato uditivo dipende sia dall’intensità del livello sonoro che dal tempo di esposizione (che permette di definire una dose assorbita dal lavoratore); può essere di tipo acuto - quando è determinato da una stimolazione molto intensa come un’esplosione e si realizza in un tempo breve, oppure di tipo cronico - quando si sviluppa nel corso degli anni a seguito di un’esposizione prolungata, specie se ad alti livelli. Il danno di tipo cronico risulta essere particolarmente invalidante poiché distrugge direttamente le cellule ciliate (responsabili della decodificazione dei suoni) in maniera lenta ma irreversibile (con una progressiva riduzione dell’udito).
Inoltre l’esposizione a rumore, a livelli anche molto bassi, può anche portare ad effetti extrauditivi importanti, come l’aumento della frequenza cardiaca, della pressione, disturbi al sistema neurovegetativo e nervoso con ansietà e agitazione, disturbi del sonno o dell’attenzione ecc.
La valutazione del rischio rumore è quindi di fondamentale importanza all’interno degli ambienti lavorativi, ed è da valutare con una periodicità quadriennale o comunque a seguito di modifiche sostanziali.
Riferimenti legislativi: D.Lgs. 81/08 - Titolo VIII al Capo II; UNI 9432:11; UNI EN ISO 9612:11.
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