La pandemia di COVID-19 e più in particolare il lockdown che ne è derivato, hanno causato delle ricadute non solo economiche, ma anche di carattere psicologico ed emotivo su tutta la popolazione.
L’ansia e la paura hanno rappresentato in quarantena e rappresentano tutt’ora, le emozioni dominanti. La paura del contagio, della perdita del lavoro, l’ansia da isolamento, l’ansia da rientro. Fattori come l’isolamento sociale, la reclusione in casa e l’incertezza generale hanno contribuito sia all’acutizzarsi di disagi già in essere, sia all’esacerbarsi di malesseri in persone che non avevano mai presentato sintomi espliciti di sofferenza psicologica.
Il periodo di isolamento, il bombardamento mediatico e le continue restrizioni alla vita normale hanno rappresentato un’esperienza assolutamente nuova alla quale non eravamo preparati. Ognuno ha quindi attuato delle strategie di gestione che non sempre sono risultate produttive. In molti casi, si è risposto all’isolamento sociale da quarantena con l’attivazione di condotte compensatorie, rivolte al mantenimento delle relazioni con gli altri e con il mondo esterno. Da qui l’enorme incremento delle comunicazioni telefoniche, delle videochiamate, dei contatti on-line, la creazione di gruppi in WhatsApp, ecc. L’uso di queste tecnologie ha certamente svolto una utile funzione nell’alleggerire il disagio emotivo associato all’isolamento, ma il loro uso eccessivo può anche comportare il rischio dello sviluppo di condotte di dipendenza (shopping compulsivo, gambling, gaming, ecc). In soggetti già predisposti, può risultare concreto il rischio di abuso di farmaci ansiolitici o di sostanze psicotrope rivolti ad attenuare lo stato di tensione emotiva. Per alcuni, la riduzione forzata dei contatti personali può tradursi in reattività di tipo depressivo. La convivenza forzata e prolungata ha contribuito a esasperare situazioni di preesistenti difficoltà relazionali, con sviluppo di tensioni, emozionalità negativa e anche fenomeni di aggressività. E ancora, in alcuni soggetti, la paura per un nemico invisibile ed incontrollabile può aver condotto allo sviluppo di veri e propri sintomi ossessivo-compulsivi (timore che l’infezione possa provenire dagli alimenti che mangiamo, oppure dai nostri animali domestici).
L’interesse per lo studio empirico delle conseguenze delle pandemie sulla salute mentale della popolazione sta riscuotendo l’interesse di numerose istituzioni nazionali e internazionali poiché comprendere i meccanismi, l’impatto e le conseguenze è fondamentale allo scopo di gestire il fenomeno, che attualmente è in espansione. Sono diverse le università di tutto il mondo, ed anche italiane, che hanno predisposto misure di raccolta dati nella forma del survey online, per analizzare i rischi per il benessere psicologico degli individui in quarantena. Sono oggetto di indagine le principali risposte allo stress, la percezione del rischio, le emozioni individuali, e i comportamenti sociali connessi all’attuale pandemia e alle relative misure restrittive.
La rivista scientifica The Lancet, ha pubblicato uno studio sull’impatto psicologico del Coronavirus, mettendolo in relazione ad altre situazioni simili del passato. Una fra tutte è stata la quarantena messa in atto in varie zone della Cina a seguito dell’epidemia da SARS del 2003, durante la quale la popolazione fu costretta a rimanere in quarantena per “soli” dieci giorni. I ricercatori sono giunti alla conclusione che dall’undicesimo giorno di isolamento compaiono i primi sintomi di disagio: stress, nervosismo, ansia.
Uno studio più recente (Wang e collaboratori 2020, Huaibei Normal University, Cina) ha esplorato l’impatto dell’emergenza pandemica sulla salute mentale dei cittadini cinesi, raccogliendo dati attraverso la somministrazione di un questionario online. Il 53,8% degli intervistati ha giudicato l’impatto psicologico dell’epidemia su di sé come moderato o grave, il 16,5% ha riportato sintomi depressivi di intensità moderata-grave ed il 28,8% ha riferito sintomi ansiosi di intensità moderata-grave. Per quanto riguarda i fattori di protezione e quelli di rischio, il genere femminile, l’essere studenti e particolari sintomi fisici (dolori muscolari, raffreddore e vertigini) sono risultati associati ad un minore benessere psicologico; al contrario, la tendenza ad aggiornarsi in modo razionale e ponderato riguardo gli sviluppi dell’epidemia e ad adottare le principali misure precauzionali (e.g. igiene delle mani, uso delle mascherine ecc.) sono risultati predittori di un maggiore benessere psicologico.
Alla luce di ciò, è di vitale importanza che anche adesso che i contagi sono (in linea di massima) sotto controllo siano accessibili servizi e strumenti di supporto psicologico, in modo che le persone si sentano sostenute e non trascorrano troppo tempo isolate con i propri disagi.
Pur continuando quindi ad attenerci alle regole imposte dalle autorità in merito alla prevenzione del virus, non dimentichiamo di prenderci cura anche della nostra salute psicologica. In taluni casi è fondamentale rivolgersi a uno specialista, che supporti la persona nell’affrontare questo periodo singolare ed estraneo ai più.
Ilaria Mercuri
Psicologa
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