Vediamo la “luce in fondo al tunnel”: le aziende riaprono, le serrande si alzano, le strade si popolano. Eppure qualcosa è cambiato: Smartworking e Aperiskype (per citarne due), sono diventati termini in uso negli ultimi mesi e non sembra andranno presto a sparire. La pandemia ha portato le persone e le aziende a ridefinire tutta una serie di certezze radicate: abbiamo ridefinito significati, cambiato gli equilibri, si sono create nuove opportunità e nuovi rischi. Inutile crucciarsi per cosa è accaduto, la necessità ora è comprendere, fare il punto zero e ripartire cogliendo ciò che di buono è emerso e gestendo le criticità affiorate. Le Direzioni aziendali riflettono su come rilanciarsi sul mercato, ma non basta più alzare stendardi al solo fine di farsi notare, è necessario reinventarsi per dare un senso a sé stessi nel momento contingente e nel futuro, dare un senso al “più” di significato che un utente, un consumatore, un cliente ottiene avvicinandosi all’azienda. Ancora di più, per ripartire in modo vincente è necessario tenere lo sguardo vigile non solo all’esterno dell’azienda, ma anche e soprattutto all’interno. Supportare il personale nella gestione e nella prevenzione delle difficoltà psicologiche legate alla situazione contingente non è un’opzione, ma un dovere e una necessità.
Gestire le emozioni
L’avvento della pandemia ha costretto la popolazione, generalmente impiegata in attività quotidiane frenetiche, a dare uno stop improvviso, indesiderato e imprevisto. Questo stop ha messo in luce tutta una serie di difficoltà e di fragilità che restavano, nella frenesia quotidiana, “nascoste sotto il tappeto”. Una delle conseguenze psicologiche evidenti è stato l’aumento di sbalzi d’umore. All’inizio è emersa l’ansia, sostituita dalla paura a sua volta scalzata da una persistente tristezza. Il tutto intervallato da episodici momenti di euforia condivisa al grido di “andrà tutto bene”. E’ necessario supportare le persone nel riconoscimento e nella gestione delle emozioni, per evitare la sopraffazione e la nascita di disagi conclamati.
Smartworking: bene, ma non benissimo
Lo smartworking, per sua natura, presenta una serie di vantaggi: elimina i tempi e i costi degli spostamenti, riduce il disturbo ambientale, diminuisce le emissioni, rende gli orari più flessibili e motiva di più. Tutto vero… se non fosse che lo Smartworking obbligato, prolungato e massiccio, ha portato con sé anche una serie di conseguenze negative. La convivenza con altri membri della famiglia, tutti connessi e con necessità di devices e spazi non sempre disponibili; ampliamento involontario dell’orario di lavoro; iperconnessione ecc.
Stress, ansia e burnout sono quindi in agguato, e quando fanno capolino agiscono silenziosamente diminuendo l’efficienza, incentivando la distrazione e gli errori, agendo negativamente sulle relazioni interpersonali. Ecco che dobbiamo occuparci di fornire degli strumenti di gestione dello stress e dell’ansia ai collaboratori, aiutandoli a prevenire e gestire il disagio creato dalla situazione contingente.
Curare la comunicazione
All’inizio del lockdown, la possibilità di accedere a strumenti alternativi di comunicazione ha permesso certamente di mantenersi connessi e non perdere la vicinanza con i propri colleghi e collaboratori. Tuttavia, superato l’entusiasmo iniziale è normale notare un graduale distacco e una diminuzione dell’entusiasmo nel dare e nel ricercare informazioni. E’ importante non lasciarsi trasportare e coltivare la comunicazione interna aziendale che deve sostanzialmente rispondere a 3 necessità
Chiarire la situazione;
Tranquillizzare il personale;
Dare speranze per il futuro.
Sono quattro le strategie per comunicare efficacemente con i dipendenti in questa fase:
Invia comunicazioni regolari, fisiche o virtuali (mostriamo ai dipendenti che l’azienda c’è!);
Descrivi dettagliatamente quali sono le decisioni aziendali in termini di progetti per il futuro, lavoro da casa, e così via (coinvolgiamo e rendiamo partecipe il personale!);
Non inviare meno di una comunicazione ogni due giorni (manteniamo viva l’attenzione);
Non aspettare di avere tutte le risposte, ma offri informazioni via via che le acquisisci (sii trasparente).
Allenare la Resilienza
Nietzsche diceva che “ciò che non uccide, fortifica”, ciò che forse va sottolineato è che la capacità di trarre insegnamenti dalle avversità, non è una caratteristica strutturale della persona. Non è un “o ce l’ho o non ce l’ho”. La metafora corretta è quella di un muscolo che, con l’esercizio si allena: resilienti si nasce, ma si può anche diventare. La resilienza è frutto di un’azione deliberata. E allora, se non vediamo il modo di diventare resilienti, dobbiamo poterci appoggiare a qualcuno che ci mostri la strada.
prendersi del tempo per sé;
programmare la giornata (imparando anche ad annoiarsi un po’);
riconoscere le emozioni;
chiedere aiuto a un professionista.
“Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti.”
C. Darwin